Il valore di una skill

Skill. Una parola che negli ultimi dieci anni è esplosa in tutto il mondo globalizzato.

In inglese “skill” significa abilità e come molti avranno notato, pubblicità, mass media e trend del mercato comunicano a gran voce che l’unico modo per avere successo sia quello di mirare ad un costante miglioramento delle proprie “skills”.

Noi appassionati di corpo, salute e fitness vogliamo parlarti delle skill motorie, ovvero tutte quelle abilità che richiedono un processo di apprendimento e che permettono al praticante di accedere ad un movimento particolare, stimolando caratteri come forza, flessibilità, elasticità ed equilibrio.

Saltare in alto, in lungo, arrampicarsi su un muretto, sollevare sopra la testa una sacca di sabbia, eseguire con precisione un tuffo, mantenere l’equilibrio e la forma durante una verticale sulle braccia, eseguire una trazione agli anelli in modo preciso ed esplosivo, stazionare nella massima accosciata senza staccare i talloni… Potremmo andare avanti centinaia di pagine, ma sicuramente a questo punto avrai inteso cosa può essere concretamente una skill motoria.

In questo articolo vogliamo rispondere alla domanda che ci interroga su quale sia il valore legato al possesso di una particolare skill motoria e quindi perché ha senso intraprendere itinerari di apprendimento nei diversi ambienti sportivi per ottenerli. 

La risposta più ovvia ci induce a pensare che ogni abilità motoria che apprendiamo ci permette di aumentare il nostro bagaglio di esperienze e capacità pratiche, quindi il valore di una skill sarebbe da ricercare nella skill stessa. Migliorare costantemente e aumentare sempre più il numero di abilità apprese sarà il fine ultimo. 

Questa risposta ha senso ma non ci convince fino in fondo. 

Esiste infatti una chiave di lettura diversa, che ci aiuta a considerare tutte le skill sulle quali lavoriamo come mezzi, strumenti attraverso cui fare una sorta di indagine di noi stessi e del mondo. Fare esperienza di processi di apprendimento che ci facciano crescere sarebbe il fine ultimo, questo avverrà attraverso le svariate skill che accettiamo come sfide pratiche di lavoro su noi stessi. 

Il valore di una skill non trova quindi le sue fondamenta nel semplice e costante miglioramento dell’abilità specifica scelta, ma si configura come la porta di accesso a processi di crescita e conoscenza personali che non potrebbero avvenire se non attraverso lo studio e la sperimentazione di forme sempre diverse. 

Molto spesso, infatti, imparare un nuovo elemento e perfezionarne l’esecuzione è motivo di passione, dedizione, necessità di comprendere il valore della determinazione nei programmi, ascolto profondo del corpo e interesse per aree interconnesse come la nutrizione o la medicina dello sport. 

Questa differenza nell’approccio alle skills può sembrare sottile e addirittura banale, ma non lo è affatto. Molto spesso nel mondo del fitness e dello sport amatoriale, vediamo persone comuni sviluppare un’ossessione per arrivare a gradi di perfezione e specificità eccessivi circa l’esecuzione di skill particolari. 

Questa trappola conduce spesso le persone in due scenari non piacevoli. 

Il primo in cui si smette di godere della pratica perché il peso del raggiungimento della performance è sempre maggiore, la frustrazione domina e inizia una sorta di rincorsa che inibisce la capacità di vivere appieno ogni singola sessione. 

Il secondo vede la progressiva accettazione di sacrificare il benessere complessivo del corpo e della propria routine settimanale pur di arrivare là dove il nostro modello mentale ci costringe ad andare. In quest’ultimo caso la necessità di ascoltare il proprio corpo e le sue velocità di trasformazione contraddice lo standard che abbiamo rigidamente deciso e una piccola guerra si scatena dentro di noi.

In conclusione, avere un progetto chiaro, un programma, una guida, sia in termini di coach, che in termini di mappa da seguire per progredire efficacemente, è indispensabile e intelligente. Tutto questo non deve però farci perdere di vista che ogni corpo ha le sue caratteristiche individuali, i suoi limiti, ognuno di noi ha situazioni di vita differenti e quindi l’obiettivo ultimo deve essere quello di ricavare dei valori e dei punti di vista differenti da ogni pratica specialistica di una skill, anche laddove non arriviamo esattamente dove ci siamo prestabiliti, anche qualora saranno necessari aggiustamenti, cambi di rotta ed eventuali piccoli passi indietro.

Ora veniamo agli aspetti positivi di una visione in cui la skill è lo strumento con cui progredire in un costante lavoro/gioco di scoperta di caratteri propri e altrui, di piccole soddisfazioni e di frustrazioni che ci ricordano quanto sia fondamentale mantenere la mente salda nei momenti in cui la curva dell’entusiasmo si trova nel suo punto più basso.

Non praticare esclusivamente per il puro miglioramento dell’abilità ci darà la possibilità di essere mentalmente flessibili agli imprevisti e alle reazioni del nostro corpo a situazioni mai provate prima. Qualsiasi cosa accadrà saremo in grado di distillare dall’esperienza di allenamento un qualcosa di interessante e utile da portare con noi nella pratica futura.

Concludiamo le note positive descrivendo quanto possa essere straordinario applicare la nostra seconda chiave di lettura ad una skill come la verticale sulle braccia. Quest’ultima, sia per popolarità che per complessità e bellezza ha sicuramente conquistato il titolo di “regina delle skill”. 

 

Praticare handstand, ovvero esercizi in cui si richiede di mantenere l’equilibrio sulle mani, è un modo di introdursi in un mondo completamente fuori dalla tua zona di comfort. Nella verticale, ad esempio, è come se si sfidassero le fondamenta della nostra routine quotidiana, i piedi vengono sostituiti dalle mani e la posizione a testa in giù ribalta completamente il sistema visivo e quello vestibolare.  

Durante l’apprendimento di una skill come questa si attraversano una moltitudine di difficoltà/opportunità che producono un aumento della capacità di sentire il proprio respiro, di permanere nell’immobilità, di accettare di stazionare sotto-sopra e di coltivare la pazienza di non pretendere risultati immediati. I progressi sono lenti e la dedizione ad una costante pratica è indispensabile. 

 

L’instabilità a cui siamo sottoposti nell’eseguire una verticale e il lavoro di continua stabilizzazione attraverso micromovimenti delle dita (e non solo) è una specie di meditazione profondamente fisica, nonché un modo di comprendere come convertire lentamente il disequilibrio in equilibrio. 

 

La linea da tenere bene a fuoco durante queste esperienze, e da non oltrepassare, è quella che identifica la facoltà di impegnarsi al massimo per ottenere risultati, senza che questi si impadroniscano completamente di noi. Un percorso di questo genere sarà inevitabilmente fonte di crescita personale e di autoconoscenza, questo avverrà quanto più noi saremo aperti ad accogliere le diverse sfide senza un atteggiamento chiuso, rigido ed eccessivamente competitivo.

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